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In nome dell’Odio, non di Dio

Matteo Ciofi

Monday, November 16, 2015

ParisItaly
"I ragazzi europei escano per strada e vadano ad ascoltare musica e a ballare, stasera, nelle nostre belle città autunnali. È il modo migliore di rendere omaggio a chi venerdì sera è entrato al Bataclan, e non è più uscito”.
Mi sento di condividere appieno queste frasi finali con cui Beppe Severgnini ha chiuso il suo articolo sul sito del Corriere venerdì. Sì, perché dopo un dramma del genere, il primo pensiero vola subito a quel che sarà, a come saremo e a come vivremo dal giorno successivo.
Qui, in questi pensieri, si annida la paura e il terrore, la sensazione che nulla sarà come prima o forse sì perché penseremo anche agli altri attacchi e ci ricorderemo che in fondo siamo andati avanti e le nostre vite hanno ripreso a correre e il tempo ci ha lentamente alleggeriti, come capita spesso. Quasi sempre.
Attaccare così una nazione, un popolo, una cultura, significa volere dimostrare di essere forti al punto tale da poter minare tutto questo. L’obiettivo rimane quello, diffondere il terrore, colpire nelle abitudini e spaventare, trasmettere la sensazione che tutto dipenda da altri, da persone (è dura definirle così, ma facciamolo) che hanno in mano il nostro destino e il filo che ci lega alla vita.
Questo è quello che vogliono. Questo è quello che dobbiamo evitare difendendo la nostra libertà ed è la prima e forse unica reazione che possiamo permetterci. Fra un po’ di tempo capiremo se a questa violenza ci sarà una risposta violenta in diverso modo: attacchi, raid e bombe, intanto noi possiamo reagire combattendo la paura che qualcuno che uccide in nome dell’Odio, e non certamente di Dio, aspira a farci vivere.
Papa Francesco nell’Angelus di ieri ha voluto riaffermare con vigore che la strada della violenza e dell’odio non risolve i problemi dell’umanità e che utilizzare il nome di Dio per giustificare tutto ciò è una bestemmia.
Anche l’Arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, nella Messa in Duomo ha parlato dell’attacco terroristico e ha dichiarato che “Non dobbiamo rispondere a questo oltraggioso e vile atto con l’odio, non dobbiamo rispondere con la paura, anche se la paura è comprensibile, perché come cristiani siamo figli di Qualcuno che costantemente ci ha detto di non avere paura”.
Nel frattempo rimangono 129 persone uccise e tante altre ferite che lottano per sopravvivere, con il bilancio delle vittime che cresce lentamente generando una straziante agonia. Uno scenario terribile, come l’idea di giovani che ammazzano altri giovani, un qualcosa che inevitabilmente va oltre il discorso religioso ma che si intreccia con una giustizia sociale che latita in maniera palese.
Questo è comunque il risultato della follia di venerdì sera e mentre leggevo alcuni racconti e diverse testimonianze ho ripensato a quel filo rosso di dramma e strage che si ricollega alla storia del mio paese.
Quell’Italia ferita e colpita in maniera vigliacca per 40 anni, nella lunga e buia fase della strategia della tensione. Non c’erano nemici religiosi e nemmeno motivi geografici o culturali, c’era in primis la volontà di colpire il popolo e di tenerlo sotto scacco. Colpirlo nella sua vita pubblica, e come è successo a Parigi, in cui i luoghi del terrore sono stati un ristorante, un teatro e lo stadio, da noi si attaccava a tradimento nelle piazze, nelle banche, sui treni e alla stazione.
Quei posti in cui la gente si raduna, in cui vive la propria quotidianità, quei luoghi di cui nessuno di noi potrebbe fare a meno. Da noi si combatteva una guerra di potere, una specie di lotta civile in cui lo Stato aveva un ruolo chiaro ed evidente, in cui non c’erano mai responsabili ma solo vittime, di certo lo scopo era lo stesso, con le debite proporzioni e la giusta dimensione: attaccare il popolo, limitare la vita pubblica delle persone spaventandole senza pietà.
Questo è successo a Parigi, e sarà dura andare avanti facendo quasi finta di nulla, eppure, oltre al silenzio e alle preghiere, al rispetto e al ricordo, come ha scritto Severgnini sul Corriere, provare a continuare a vivere la nostra vita senza scivolare nella psicosi del terrore e il modo più autentico per omaggiare chi non potrà più farlo, gridando a chi vuole prendersi la nostra libertà che questo non potrà accadere.

This post originally appeared on our Italian language blog - Sale e Luce TV.


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